BARI – Giovedì 8 agosto 1991. E’ l’alba di una torrida mattina d’estate quando all’orizzonte, dal porto di Bari, inizia a intravedersi il profilo della nave mercantile “Vlora”. La scena che si presenta agli uomini della Guardia Costiera è di quelle difficili da dimenticare: a bordo dell’imbarcazione, una vecchia carretta del mare da novemila tonnellate di stazza, ci sono migliaia di persone stipate in ogni spazio disponibile. Un formicaio umano composto da circa ventimila disperati che da Durazzo in due giorni di navigazione hanno raggiunto le coste pugliesi inseguendo il sogno di una vita migliore, lontano dalla miseria di un’Albania segnata da una crisi senza precedenti dopo la morte del dittatore Enver Hoxa ed il conseguente crollo del regime comunista.
Il tentativo di ricacciare indietro la nave stracolma di profughi risulta subito vano: “Non sono in grado di prendere decisioni, – la drammatica risposta del comandante della Vlora, Alim Milaci – non comando nessuno. La nave è ingovernabile, a bordo ci sono bambini e malati”. Le immagini della Vlora che attracca al molo 30 del porto di Bari sono frammenti di storia indelebili: una folla stremata che si lancia in mare pur di poter abbandonare quell’inferno galleggiante. Ad attendere i profughi albanesi ci sarebbe stato però, di lì a poco, un altro inferno. Sono trascorse da poco le 10 quando in Prefettura arriva l’ordine di far sbarcare i clandestini e trasferirli nello “Stadio della Vittoria”. Inizia così un calvario che durerà cinque lunghissimi giorni. Indimenticabili le immagini dei containers (pieni di cibo caldo) utilizzati per bloccare le porte dello stadio. Dentro e fuori dallo stadio si scatena una autentica battaglia tra forze dell’ordine e bande di albanesi disposti a tutto. Il caldo si fa sempre più opprimente e cibo ed acqua scarseggiano. I pasti, solo panini, vengono lanciati all’interno del “Della Vittoria” con un elicottero o da una gru. Le immagini dello “stadio lager” come a pieno titolo lo definì l’allora sindaco di Bari Enrico Dalfino, fanno il giro del mondo, scatenando polemiche e proteste. Bisognerà arrivare alla vigilia di ferragosto perché la situazione torni lentamente alla normalità. La maggior parte dei profughi sarà rimpatriata in Albania a bordo di aerei militari C-130.
Sono trascorsi diciassette lunghi anni da quel terribile otto agosto, una data che ha segnato per sempre la storia del capoluogo pugliese. Quella della Vlora è una pagina nera che in tanti hanno provato a dimenticare, come se quei giorni non fossero mai esistiti. Angelo Amoroso d’Aragona, regista ed autore di documentari e cortometraggi con alle spalle una lunga esperienza nel cinema indipendente, ha vissuto quei giorni in prima persona, riprendendo ciò accadeva tra il porto e lo stadio. Da quelle immagini è nato un primo cortometraggio dal titolo “Vlora 1991 – Il mare dentro”, presentato al festival Arcipelago di Roma. Il regista barese in questi anni ha dato vita ad un nuovo progetto, quello di raccontare i giorni degli irriducibili e di ciò che avvenne all’interno dello stadio. Una volta ottenuti i primi finanziamenti Amoroso ha iniziato un lungo lavoro di ricerche: “Nel 2007 è iniziata la prima fase produttiva – racconta il regista – con le circa quattro ore di filmati girati all’epoca, sono andato in Albania alla ricerca di quei volti, spostandomi tra Tirana e Durazzo. Alla fine di questi viaggi ho raccolto circa una ventina di testimonianze. In seguito – prosegue Amoroso – è iniziata la ricerca negli archivi. Ho trascorso circa due mesi in Rai a visionare il loro materiale”.
Il grande lavoro di ricerca e di produzione svolto da Angelo Amoroso in questi anni confluirà in un documentario dal titolo “Lo stadio della Vittoria”. Un progetto ancora in fase di lavorazione che dovrebbe essere presentato nei prossimi mesi e che nel luglio scorso ha ottenuto i finanziamenti dell’Apulia Film Fund. Nel documentario si racconteranno le terribili esperienze vissute in quei giorni all’interno dello stadio: un inferno fatto di violenze, stupri e soprusi compiuti da bande criminali fuggite dal carcere di Tirana. Una guerra per sopravvivere lontana anni luce dall’idea stessa di nazione civile. Troppi gli interrogativi rimasti in sospeso in questi lunghi anni. La città e il sindaco di Bari Dalfino hanno pagato in prima persona le colpe di uno Stato incapace di affrontare un evento senza precedenti. Nelle decisioni e nelle errate valutazioni delle tre principali cariche istituzionali, il Presidente della Repubblica Cossiga, il Presidente del Consiglio Andreotti e il ministro degli Interni Scotti vanno ricercate le cause di una tragedia che ha segnato la storia del novecento. Resta da chiedersi come mai ad esempio non sia stato firmato l’atto che dichiarava l’emergenza nazionale e che prevedeva l’utilizzo dell’esercito e della protezione civile.
Oggi lo “Stadio della Vittoria” è profondamente cambiato da quei tragici giorni di diciassette anni fa. I lavori di rifacimento dell’impianto non sono riusciti però a cancellare la vergogna e ad allontanare i fantasmi di allora.
Andrea Morrone
Pubblicato su Bari Sera del 7 agosto 2008