domenica 4 ottobre 2009

BARI – Il falò delle civiltà. Sono trascorsi quasi diciotto anni da quando, era la notte del 27 ottobre 1991, pochi minuti dopo la mezzanotte, il Teatro Petruzzelli bruciava in un rogo che avrebbe segnato per sempre le sorti di Bari e di tutti i suoi cittadini.

Teatro Petruzzelli Bari
In quella notte maledetta bruciava inesorabilmente anche l’anima di una città ferita in maniera incancellabile dalla perdita di un secolo di storia. In molti ricorderanno le lacrime e la rabbia della gente che tra le fiamme guardava impotente bruciare i ricordi e trasformarsi in cenere. 

Un attacco al cuore della città, messa in ginocchio dalla fine di una struttura teatrale che era simbolo di incontri tra culture ed espressioni artistiche, anima pulsante del sogno internazionale di una Bari che provava a fatica a scrollarsi di dosso l’abito stretto dl provincialismo e a indossare quello elegante del capoluogo cosmopolita.

L’affaire Petruzzelli ha rappresentato un evento senza precedenti nella già complessa e spietata storia dell’italico malaffare: il salto di qualità epocale di una criminalità che per la prima volta ha avuto il “coraggio” di colpire il simbolo e il patrimonio stesso di una regione intera. I lunghi anni di processi e inchieste giudiziarie non sono riusciti a dare un volto ai mandanti di quella barbarie. Dopo oltre tre lustri, i due esecutori materiali di quel terribile incendio, Giuseppe Mesto e Francesco Lepore (condannati con sentenze definitive), sono gli unici ad aver pagato per le loro colpe. Crimini senza colpevoli, in un turbinio di affari e speculazioni che ha rafforzato ancor di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, quell’impronta levantina (nell’accezione più negativa del termine) di una Bari condannata dalla storia ad una decadenza lenta e inesorabile. Nel passato pericoli e predatori venivano di solito dal mare, oggi sembrano radicati nel cuore stesso della città. Una città caratterizzata da sempre da una scarsa memoria, in cui sono in tanti però a sentire bruciare sotto la pelle il dolore di una perdita incolmabile.

Oggi, a distanza di quasi un ventennio, il Teatro riapre, con vanto e orgoglio del sindaco Emiliano, felice (seppur con dieci mesi di ritardo) di aver restituito alla città quello che per quasi un secolo ha rappresentato il fiore all’occhiello del capoluogo adriatico. 

Peccato che la prima di questa sera, con il maestro Fabio Mastrangelo a dirigere la Nona sinfonia di Beethoven, abbia più l’aspetto di uno spot elettorale e di un vernissage politico che la vera festa di una cittadinanza tenuta a debita distanza da un evento che in molti hanno accolto con evidente disappunto. 
Per loro, ormai assuefatti alle lunghe attese, ci sarà tempo per riappropriarsi del Petruzzelli, così come per la Giustizia. Viene alla mente un vecchio adagio mediorientale che asserisce che la verità ha il passo lento, ma quando arriva illumina. 

Sarà vero anche a queste latitudini?!

domenica 5 aprile 2009

Cronaca di un tragico pomeriggio da stadio

BARI – Le sconfitte del “San Nicola”. Più che quella della compagine biancorossa, a lasciare il segno, nel pomeriggio di grande calcio del capoluogo pugliese, è la grande sconfitta del tanto decantato stadio barese. Quello che doveva essere una giornata di festa e la prova generale a quella (che tutti si augurano) della promozione nella massima serie e dei pomeriggi futuri da serie A, si è trasformata in un incubo. Viabilità impazzita, parcheggi selvaggi, tifosi che incuranti di ogni norma di sicurezza attraversano le carreggiate, assenza quasi totale di agenti di pubblica sicurezza, sono alcuni dei mali più evidenti affrontati da chi ha avuto la fortuna o la sfortuna di recarsi ieri ad assistere la sfida tra Bari e Parma. L’esempio più rappresentativo è stato quello dell’autocisterna dei pompieri, bloccata nel traffico totalmente congestionato del dopo gara, e costretta ad assistere impotente al rogo di alcune auto andate in fiamme in uno dei parcheggi. A rendere ancora più paradossale la scena, il paragone con la perfetta serata vissuta solo tre giorni prima in occasione della gara tra Italia e Irlanda. E’ lecito chiedersi come mai, in tale circostanza, si sia riuscito ad organizzare l’afflusso e il deflusso degli spettatori in maniera egregia, grazie anche ad un perfetto spiegamento delle forze dell’ordine. Misteri del grande calcio.

Chi, armato di grande pazienza e volontà, è poi finalmente riuscito ad arrivare indenne allo stadio e a parcheggiare la propria auto, si è dovuto poi scontrare, come al solito, con la maleducazione di quella fetta di spettatori che non hanno evidentemente mai appreso il significato dei vocaboli: coda ed educazione. Per tornare ad essere una delle capitali calcistiche dell’italico pallone, bisognerà lavorare molto: prima ancora che sui lavori e sugli adeguamenti a strade e a impianti, su noi stessi.

Andrea Morrone

giovedì 2 aprile 2009

I fischi del "San Nicola"

BARI – La grande notte delle occasioni sprecate. Il cielo del “San Nicola” torna a tingersi d’azzurro a due anni di distanza dalla vittoria sulla Scozia del marzo 2007. Di scena, sul prato verde dell’impianto barese, l’Irlanda di Giovanni Trapattoni, emigrato verso il nord per rendere ancora più suggestiva una carriera già straordinaria. Ciò che rimane però, al di là della grande festa e di un bagno di folla e di entusiasmo, è un sapore amaro di fiele: quello innanzitutto dei fischi ingiusti e fuori luogo con cui il pubblico ha accolto un Marcello Lippi “colpevole” di aver lasciato a casa un Antonio Cassano improvvisamente divenuto idolo e simbolo di una città. In un calcio che dimentica in fretta come quello moderno, le notti magiche del mondiale teutonico sono ormai solo un lontano ricordo. Il commissario tecnico campione del mondo in carica (titolo che ovviamente non può e non deve mettere al riparo da critiche) raccoglie il rancore di una maggioranza che non gli perdona di averla privata di una fetta di baresità pura come quella del talento nato nel Borgo antico. Peccato che quei fischi, comunque ignorati da un Lippi che ha sdrammatizzato ed evitato ogni polemica, abbiano offuscato un grande appuntamento come quello di ieri: proprio in quella che doveva essere la grande prova del ritorno del capoluogo adriatico nel grande calcio.

A parziale compensazione dell’ostilità palesata nei confronti dell’allenatore, il pubblico ha accolto con grande calore e incitamento la formazione azzurra, almeno fino alla doccia fredda del pareggio irlandese, giunto proprio nei minuti finali. Una doccia fredda beffarda ma prevedibile, almeno leggendo il copione tattico di un secondo tempo che ha visto la squadra di casa (priva per praticamente l’intera gara di un Pazzini espulso in maniera forse ingiusta), rintanata nella propria metà campo a difendere lo striminzito vantaggio. Il Trap, al contrario, ha lanciato nella mischia giocatori più offensivi, che hanno avuto il merito di crederci fino alla fine, sfiorando nel finale anche una clamorosa vittoria.  E’ finita così, con il pubblico barese a mugugnare e recriminare per la vittoria sfumata e l’onda verde irlandese, scossa dal pareggio di Keane, a festeggiare e a intonare un bellissimo “Que sera, sera”, inno perfetto alla caducità e alla imprevedibilità del grande gioco del calcio.

Andrea Morrone

martedì 31 marzo 2009

I signori del calcio


BARI – I signori del calcio. Nuvole grigie e cariche di pioggia, con un cielo che profuma d’Irlanda. Nasce così, come nella più classica delle ballate irlandesi, l’amore tra Bari e le migliaia di tifosi giunti dall’isola verde fino alle sponde dell’Adriatico. Un amore a prima vista, tra due popoli di naviganti, uniti dall’amore per il mare e dal sorriso che accompagna le vicissitudini del lungo viaggio della vita.

Lontano però dai suoi tifosi festanti e dai fiumi di birra versati, Giovanni Trapattoni prepara al meglio la sfida che lo vede contrapposto ad una Nazionale che ha sempre amato e di cui ha condiviso le gioie e le delusioni della panchina. Oggi, a settant’anni compiuti, il Trap ha scelto di lanciarsi in una nuova avventura: nelle sue mani e nella sua immensa esperienza calcistica sono racchiuse le speranze dell’Eire di giungere sino ai Mondiali del Sudafrica. Il destino, beffardo ed avvincente come ogni grande storia, ha fatto si che sulla sua strada ci fossero proprio i colori azzurri. Domani sera, nella grande cornice di pubblico del “San Nicola”, Italia e Irlanda si giocano un pezzo di qualificazione, con tre punti che possono pesare tantissimo nel bilancio complessivo.

Il grande allenatore di Cusano Milanino ha l’aria del grande saggio, di quelli che ti insegnano qualcosa solo a starli acanto per un po’, e prova a spronare i suoi verso l’impresa: “Quella di domani sarà un po’ la sfida di Davide contro Golia, per noi non sarà facile superare una grande squadra come quella azzurra”. Trapattoni dribbla poi con eleganza ogni possibile amarcord per gli anni trascorsi sulla panchina italiana: “Sentire le note dell’inno della mia nazione è sempre una grande emozione, ma lo è anche ascoltare quello irlandese, la squadra a cui devo pensare in questo momento”. Come sempre poi, il Trap dispensa perle di saggezza e del suo modo istrionico di vivere il grande circo del calcio: “Tre momenti segnano la vita di ognuno – racconta Trapattoni – la nascita, la morte e il cambiamento. Io ho scelto spesso di cambiare ed ho conosciuto il calcio di tante nazioni. Un bagaglio di esperienza che mi ha arricchito e mi ha fatto conoscere nel mondo”.

Poco dopo gli fa eco Marcello Lippi, impeccabile e sorridente come un attore di Hollywood. Il tecnico viareggino non risparmia i complimenti al suo vecchio maestro: “Per quelli della mia generazione, Giovanni è stato un esempio da seguire in ogni aspetto. La sua grande capacità di fare gruppo, la sua scaltrezza, la sua furbizia e i suoi grandi innovamenti, hanno segnato il nostro calcio. L’Irlanda è sicuramente una buona squadra, che con Trapattoni in panchina ha del valore aggiunto”. L’allenatore campione del mondo evita accuratamente ogni domanda su Cassano e sulla delusione del pubblico di Bari: “Sono qui per parlare della partita e non degli assenti. Mi auguro che i cinquantamila del “San Nicola” possano diventare il dodicesimo uomo in campo e fare il tifo per la propria Nazionale, la stessa squadra che gli ha fatti gioire tre anni fa a Berlino”.

Andrea Morrone

mercoledì 15 ottobre 2008

La luna nel Pozzo

LECCE – La luna nel Pozzo. Ci pensa la luna, piena e ammaliatrice come in ogni favola, ad incorniciare quella calcistica di Marcello Lippi e a sorridere al record dell’allenatore viareggino, entrato di diritto nella storia per aver eguagliato il record di trenta risultati utili consecutivi stabilito da Vittorio Pozzo. La vittoria sul Montenegro sancisce un record impreziosito da quello stemma di campioni del mondo che brilla e inorgoglisce sul petto degli azzurri.

Lecce abbraccia la Nazionale con il consueto calore di ogni città del sud, abituata a bruciare di passione calcistica per ogni grande evento. La sfida con il Montenegro è di quelle che contano, in palio c’è una piccola fetta di qualificazione ai mondiali del 2010. Poco importa se il “Via del Mare” non è completamente gremito: la città si stringe attorno ai propri beniamini con calore ed entusiasmo. In campo ci sono anche alcuni ex illustri, come Marco Amelia e Mirko Vucinic, transitati con alterne fortune nella società giallorossa. Una sfida nella sfida quella tra i due: con l’estremo difensore azzurro che fa di tutto per non far rimpiangere l’infortunato Gigi Buffon. Dall’altra parte il montenegrino ci prova in tutti i modi ad impegnare il portiere del Palermo, segnando anche il gol del momentaneo pareggio.

Bello anche il duello a distanza tra Lippi e Filipovic, due “vecchi” gentiluomini che con competenza, carisma e stile danno lustro ad un mondo sempre più decadente come quello calcistico. I due, perfetti nei lori completi grigi, si scambiano reciproci attestati di stima: “Faccio i complimenti al Montenegro – commenta il ct azzurro – ho visti almeno 4/5 ottimi giocatori e sono sicuro che questa squadra farà grandi cose”. Poco dopo gli fa eco l’allenatore balcanico che in un perfetto italiano commenta: “I complimenti di un grande uomo di calcio come Lippi mi fanno molto piacere. Non siamo riusciti a trovare il pareggio ma ci può stare, del resto abbiamo giocato contro la difesa più forte al mondo”. Finisce così, con una leggera nebbiolina che avvolge il capoluogo salentino, a ricoprire la gioia dei vincenti e l’amarezza degli sconfitti, usciti però con l’onore delle armi di un Montenegro che probabilmente avrebbe meritato il pareggio.

Il Paese delle aquile

LECCE – Le ultime luci del crepuscolo salutano la fine di una giornata più primaverile che autunnale su Lecce. Un elicottero volteggia vigile e minaccioso su Piazza Mazzini, a ricordare che oggi è il giorno di Italia-Montenegro. Su un lato della piazza, cuore pulsante del commercio salentino, si radunano i tifosi montenegrini, pronti per essere scortati con dei pullman fino allo stadio. La situazione è comunque tranquilla. La gente sorride benevola ed incuriosita ai cori e alla tipica agitazione balcanica dei tifosi ospiti.

Elsad ha 25 anni e viene da Podgorica, la capitale della piccola repubblica balcanica, nata appena due anni fa con un referendum che ha sancito l’indipendenza dalla Serbia. Sul suo volto, illuminato ad intermittenza dalla luce azzurra dei lampeggianti dei mezzi schierati dalle forze dell’ordine, si legge tutta l’emozione e la gioia di chi sa di assistere ad un evento storico. Avvolto con orgoglio nella bandiera del suo paese (su cui spicca l’aquila bifronte rivolta ad Occidente e ad Oriente) ci racconta, in un italiano un po’ approssimativo, della sua trasferta: un lungo e faticoso viaggio che con pullman e traghetto lo ha condotto a Lecce attraverso Bar e Bari. Uno scioglilingua che rileva la vicinanza di due nazioni e di due culture separate solo da poche ore di traghetto. “Per noi è una grande gioia essere qui – spiega Edgar – l’Italia è un grande paese. Abbiamo viaggiato tutta la notte ma non importa, ciò che conta è esserci e tifare per la nostra bandiera”. Si è fatto tardi, gli agenti invitano i tifosi a salire sui mezzi per lo stadio, riusciamo però a strappare un pronostico sulla partita: “Vinciamo noi!” – urla Edgar. Poi sorride e a voce bassa ammette: “Speriamo in un pareggio, magari con gol di Vucinic”.

Il sogno di Edgar e dei tifosi montenegrini svanisce con il raddoppio di Aquilani. Loro sembrano non farci caso e continuano ad incitare incessantemente la loro squadra. Anche loro, così come Jovetic e compagni, meritano un bell’applauso.

mercoledì 10 settembre 2008

Salento Lungomare

Un viaggio attraverso il Salento per raccontare con immagini e versi una terra di miraggi, spazzata dai venti tra mare e mare. Nasce così, dopo il grande successo ottenuto con il libro fotografico “Salento”, la nuova opera di Marcello Moscara, secondo volume di questa collana ideale dedicata alle più suggestive rappresentazioni di questa regione nella regione, percorsa in questo caso tutta lunga la costa, da cui il titolo: Salento lungomare.

E’ il maggio del 2007 quando Moscara, fotografo ed autore di immagini e campagne fotografiche per l’editoria e la pubblicità, decide di intraprendere un lungo viaggio che lo porterà a percorrere oltre 200 chilometri, dalla spiaggia di Casalabate (vicino Lecce) fino al capo di Leuca, per poi risalire dal versante ionico su fino alla Palude del Conte, lì dove incomincia il Golfo di Taranto. Un cammino lungo quindici giorni, armato solo di un taccuino e di una macchina fotografica, fedele compagna di scatti rubati alla bellezza di un luogo epico, che dà la misura di tutte le cose e consente di raccontarle. “Mi sono messo a camminare – racconta il fotografo salentino – rimanendo per tutto il tempo lungomare. I miei passi su una linea di confine, a piedi dall’Adriatico allo Ionio. Tra riverberi e soffi di due mari ho camminato per quindici giorni, fermandomi di tanto in tanto a trascrivere i versi di un poeta”. I versi sono quelli di Pierluigi Mele, che accompagnano alcune immagini e ci raccontano la bellezza di una terra da amare: “come un dono, come un’ossessione”.

“La mia idea – racconta l’autore – nasce dal bisogno di penetrare il più possibile nel territorio e nella natura. Un’esperienza possibile solo camminando a piedi per giorni, passo dopo passo, ragionando con lentezza e riscoprendo la dimensione di quella solitudine necessaria a capire i luoghi”. Un’esperienza faticosa la sua: “Non pensavo fosse così dura. Ho percorso circa una ventina di chilometri al giorno, dormendo tra agriturismi e bed & breakfast. La prima notte sono stato ospite di un contadino nelle campagne di Frassanito, vicino a Torre Sant’Andrea. In questo viaggio ho scoperto luoghi e persone che non conoscevo”.

Il libro di Moscara ci riconsegna la bellezza di una terra magica e incantata, piena di meraviglia e stupore, sospesa tra due mari. Un mare che ci racconta storie e leggende di genti diverse, con sorrisi fatti di sole e lacrime di sale.