Mancano ormai due gironi all’arrivo del 2008 ma il calcio inglese con conosce soste o festività natalizie, qui si gioca sempre. L’incontro è di quelli di cartello, al Goodison Park sbarca la corazzata Arsenal. Il cielo nero come la pece preannuncia tempesta e inviterebbe più che a una partita di calcio ad una serata di bevute e racconti nel pub sotto casa. Pochi però sembrano preoccuparsene e lo stadio è gremito come per una finale. Entrare nel vecchio, scricchiolante, magnifico Goodison Park è una emozione che ti rimane dentro e ti avvolge. In campo le due squadre si danno battaglia e infiammano le tribune. Il gol dell’australiano Cahill è solo una breve illusione che fa da preludio alla rimonta dei gunners. L’Everton incassa quattro gol, ma continua a crederci fino al 95’. La gente apprezza ed applaude. Alla fine, scrutando i volti dei tifosi che abbandonano lo stadio per le stradine buie che circondano l’impianto, viene da chiedersi chi sia realmente il vincitore. Dannati blues vi adoro. Mentre scende la notte su Liverpool pensi che c’è tempo per un panino e per una buona pinta, anzi, meglio qualcuna in più. Anche questo fa parte di quel grande romanzo popolare che è il calcio in Inghilterra.
sabato 29 dicembre 2007
The people's club
Mancano ormai due gironi all’arrivo del 2008 ma il calcio inglese con conosce soste o festività natalizie, qui si gioca sempre. L’incontro è di quelli di cartello, al Goodison Park sbarca la corazzata Arsenal. Il cielo nero come la pece preannuncia tempesta e inviterebbe più che a una partita di calcio ad una serata di bevute e racconti nel pub sotto casa. Pochi però sembrano preoccuparsene e lo stadio è gremito come per una finale. Entrare nel vecchio, scricchiolante, magnifico Goodison Park è una emozione che ti rimane dentro e ti avvolge. In campo le due squadre si danno battaglia e infiammano le tribune. Il gol dell’australiano Cahill è solo una breve illusione che fa da preludio alla rimonta dei gunners. L’Everton incassa quattro gol, ma continua a crederci fino al 95’. La gente apprezza ed applaude. Alla fine, scrutando i volti dei tifosi che abbandonano lo stadio per le stradine buie che circondano l’impianto, viene da chiedersi chi sia realmente il vincitore. Dannati blues vi adoro. Mentre scende la notte su Liverpool pensi che c’è tempo per un panino e per una buona pinta, anzi, meglio qualcuna in più. Anche questo fa parte di quel grande romanzo popolare che è il calcio in Inghilterra.
lunedì 24 dicembre 2007
Oceano Mare
Alessandro Baricco
venerdì 21 dicembre 2007
Triste, solitario y Soriano
Ci sono quelli a cui a un certo punto la porta si restringe e quelli che ce l’hanno invece spalancata per una vita intera, come fauci, a raccogliere successi e glorie per i millimetri di uno spazio che ti è amico. Ed infine ci sono quelli che la porta ce l’hanno così infinitamente stretta che ogni volta che sono lì, che vedono lo spiraglio di luce giusto, esatto, per poi chiudersi all’improvviso, sanno che lì, in quegli attimi ciò che appare è un destino. Tutti ne hanno uno, e a volte i metri della porta, meccanici e uguali ovunque nel mondo, diventano sottili come un respiro. E provateci, voi, a segnare in un respiro, o a non chiamarlo destino.
Il calcio né è pieno, di cavalieri degli spazi sottili, meravigliosi giocolieri, con piedi fatati capaci di muoversi a tempo di musica, che all’improvviso cominciano a sbagliare tutto, tutto quello che si può sbagliare, con un’esattezza micidiale. Guardateli, quegli occhi che cercano di fissare i fantasmi che spostano le linee. Come i poeti che all’improvviso la musica nella testa non è la musica dei versi, gli scrittori con le storie che girano su se stesse, come giostre impazzite, gli amanti che perdono, da un giorno all’altro, la nota di cristallo dell’amore, o gli esami che vanno male in serie, catene di montaggio degli errori, le parole che escono fuori sempre sbagliate. Tutte porte che all’improvvisano diventano strette. A volte succede anche agli allenatori.
Questa storia è dedicata, con affetto, a tutti quelli che perdono, che vanno alla deriva, che si lasciano andare, che sprecano le occasioni. A tutti quelli che sanno che la distanza che ti separa dalla porta non è questione di metri ma di destino.
Castelli di rabbia
..Iniziò a piangere, in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.
Alle sconfitte della vita..Ritorno a Croke Park
Dublino, 24 febbraio 2007. Sotto un ciel grigio e carico di pioggia scendono in campo due rivali storiche della palla ovale: Irlanda e Inghilterra. Non è una partita come le altre. La nazionale irlandese di rugby è l’unica a rappresentare in unica squadra sia la Repubblica d’Irlanda che l’Irlanda del Nord, le “trentadue contee” come le chiamano gli irlandesi. A rendere unica questa la sfida è però il luogo: lo stadio di Croke Park. Per la prima volta dalla domenica di sangue del 1920, da quando cioè durante una partita di calcio gaelico le truppe britanniche spararono sugli spalti uccidendo 12 persone, il rugby torna a Corke Park. Dopo quella domenica la Gaa, Gaelic Athletic Association, bandì per sempre gli sport inglesi, come calcio e rugby, dall’impianto. “Fino a quando”, così diceva la regola, “la bandiera irlandese non sventolerà su tutte e 32 le contee”. Una regola abolita dalla necessità, visto che Lansdowne Road, lo stadio più antico oltre che il vero tempio del rugby irlandese, verrà distrutto e ricostruito. E così, dopo oltre ottant’anni, le note di “God save the Queen” sono tornate ad echeggiare nel cielo di Croke Park. Per gli inglesi non è stato un bel ritorno. La sconfitta rimediata, 43 a 13, è stata la più pesante della loro storia. Per gli irlandesi invece non ci poteva essere vittoria più esaltante. Ci sono serate, come quella di un sabato di febbraio a Dublino, in cui lo sport diventa storia.
Quella magica sera al Murrayfield
24 febbraio 2007, una data che rimarrà per sempre impressa nella storia del nostro rugby. Sono bastati solo sette minuti, dopo un’attesa lunga sette anni, per realizzare questa impresa. L’Italia del rugby ottiene la prima vittoria in trasferta nella storia del “Sei Nazioni”. Per la prima volta dal 2000, anno in cui l’Italia è entrata a far parte del torneo, gli azzurri centrano un successo esterno, lontano da Roma. Successo ancor più prestigioso perché ottenuto a Murrayfield, il tempio del rugby scozzese ad Edimburgo, dinanzi a cinquantamila esterrefatti tifosi di casa e cinquemila italiani pazzi di gioia. L’Italia costruisce il successo nei primi 7 minuti, realizzando ben tre mete grazie ad altrettanti ovali intercettati. La Scozia si trova così inaspettatamente sotto per 21 a 0, il pubblico ammutolisce. Il rugby però è sport fatto di cuore e coraggio, i padroni di casa reagiscono e tentano in tutti i modi di recuperare. Saranno altri settanta minuti di autentica battaglia. Gli azzurri compiono un autentico capolavoro, alla fine il punteggio parla chiaro: Scozia 17 – Italia 37. Un vero trionfo, come non era mai successo nella storia del rugby nostrano. Alla fine, per la seconda volta consecutiva, Alessandro Troncon verrà premiato come “man of the match”, il miglior uomo della partita. Una bella pagina scritta nella storia di uno sport antico e fiero, basato su un principio basilare, portare la palla (che in questo caso è ovale) in territorio “avversario”, oltre la linea di meta. Detta così sembra anche facile, se non fosse per una regola assurda e al tempo stesso meravigliosa, la palla la puoi passare solo indietro. Magia di uno sport capace di scrivere pagine bellissime di storia.
Sisifo e l'Inter
Il trionfo tanto agognato, è arrivato quattro giorni dopo, complice la sconfitta della Roma a Bergamo e la vittoria interista a Siena. Nella città del Palio la squadra nerazzurra ha centrato, con una doppietta di Marco Materazzi, il sigillo ad una stagione trionfale. In un pomeriggio torrido, a quasi diciotto anni da quel lontano ventinove maggio 1989, l’Inter ha centrato il suo quindicesimo scudetto. Uno scudetto meritato e conquistato sul campo, a differenza di quello assegnato “d’ufficio” per le note vicende di calciopoli.
Difficilmente il popolo nerazzurro potrà dimenticare il pomeriggio del ventidue aprile 2007, il giorno del trionfo in cui la realtà ha superato il mito. L’Inter ha svestito i panni di Sisifo per indossare la maglia con il tricolore. Il masso è finalmente piantato su in cima alla montagna e su di esso ci sono migliaia di interisti a far festa.