L’affaire Petruzzelli ha rappresentato un evento senza precedenti nella già complessa e spietata storia dell’italico malaffare: il salto di qualità epocale di una criminalità che per la prima volta ha avuto il “coraggio” di colpire il simbolo e il patrimonio stesso di una regione intera. I lunghi anni di processi e inchieste giudiziarie non sono riusciti a dare un volto ai mandanti di quella barbarie. Dopo oltre tre lustri, i due esecutori materiali di quel terribile incendio, Giuseppe Mesto e Francesco Lepore (condannati con sentenze definitive), sono gli unici ad aver pagato per le loro colpe. Crimini senza colpevoli, in un turbinio di affari e speculazioni che ha rafforzato ancor di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, quell’impronta levantina (nell’accezione più negativa del termine) di una Bari condannata dalla storia ad una decadenza lenta e inesorabile. Nel passato pericoli e predatori venivano di solito dal mare, oggi sembrano radicati nel cuore stesso della città. Una città caratterizzata da sempre da una scarsa memoria, in cui sono in tanti però a sentire bruciare sotto la pelle il dolore di una perdita incolmabile.
Oggi, a distanza di quasi un ventennio, il Teatro riapre, con vanto e orgoglio del sindaco Emiliano, felice (seppur con dieci mesi di ritardo) di aver restituito alla città quello che per quasi un secolo ha rappresentato il fiore all’occhiello del capoluogo adriatico.
Peccato che la prima di questa sera, con il maestro Fabio Mastrangelo a dirigere la Nona sinfonia di Beethoven, abbia più l’aspetto di uno spot elettorale e di un vernissage politico che la vera festa di una cittadinanza tenuta a debita distanza da un evento che in molti hanno accolto con evidente disappunto.
Per loro, ormai assuefatti alle lunghe attese, ci sarà tempo per riappropriarsi del Petruzzelli, così come per la Giustizia. Viene alla mente un vecchio adagio mediorientale che asserisce che la verità ha il passo lento, ma quando arriva illumina.
Sarà vero anche a queste latitudini?!